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DEGRADO URBANO E CRIMINALITA’

E’ noto come il progressivo incremento di manifestazioni di disordine fisico, ovvero la presenza costante di oggetti che evocano degrado e negligenza (cd. incivilities), come ad esempio l’immondizia per strada, nello spazio urbano, possa ridurre il senso di soddisfazione degli individui verso il proprio quartiere e acuire la percezione di insicurezza e la paura del crimine, questi effetti colpiscono non solo i cittadini residenti in quella zona, ma anche i lavoratori, turisti, studenti e quindi la popolazione in senso più ampio che, a vario titolo, usufruisce degli spazi cittadini. Nel 1982 la Teoria dei Vetri Rotti (Broken Windows Theory) elaborata da Wilson e Kelling ipotizza un rapporto di causazione fra degrado urbano e criminalità: atti di inciviltà, di vandalismo o anche solo immorali che minacciano i valori tradizionali di un dato territorio, se non puniti, possono nel lungo periodo portare a forme ben più gravi di criminalità come conseguenza del senso di abbandono e di assenza di controllo formale ed informale percepito dai soggetti che in quel territorio vivono. Anche la normativa si esprime in merito alla necessità di coinvolgere attivamente la cittadinanza nell’ambito delle politiche di sicurezza urbana. Riprendendo il coinvolgimento dei cittadini già richiamato dalla legge 94/1999, il decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, convertito in legge 18 aprile 2017, n. 48, all’art. 5 specifica che prevenzione della criminalità e tutela del decoro urbano, obiettivi primari dei patti per la sicurezza urbana sottoscritti tra il Prefetto ed il Sindaco, devono essere perseguiti avvalendosi anche dell’ausilio di reti di volontari, enti ed associazioni operanti nel privato sociale. In questo contesto il coinvolgimento attivo della cittadinanza nel contrasto di fenomeni di degrado e di inciviltà apporta un duplice beneficio: da una parte costituisce uno strumento fondamentale nell’ambito delle politiche di prevenzione comunitaria della criminalità, dall’altra rinforza il capitale sociale di un certo territorio, incentivando i legami fiduciari e di collaborazione e la coesione fra i cittadini, oltre che il rapporto di questi ultimi con le istituzioni. Favorire e consolidare i legami fiduciari e di collaborazione, rafforzando in particolare il senso di appartenenza, può demotivare l’individuo dall’agire in maniera non conforme, inducendolo ad adottare un comportamento socialmente accettabile ed invogliando un agire proattivo e partecipe ai processi che regolano la sicurezza sul territorio. I cittadini non sono più quindi da intendersi come destinatari passivi del bene sicurezza ma soggetti attivi che, per poterne fruire, devono collaborare con le istituzioni e modellare i propri comportamenti anche per minimizzare i rischi. Sulla base di queste premesse si ritiene fondamentale proporre progetti e attività di tipo educativo, sociale e culturale quali strumenti di integrazione. Le attività di seguito proposte, che cercano di intervenire in ciascuno dei tre ambiti nei quali si articola il presente progetto, possono stimolare solidarietà e aiuto reciproco, andando a sopperire e a compensare quella percezione di isolamento e solitudine ingenerata da un ambiente urbano spesso colpito da degrado e incivilities.

SOVRAFFOLLAMENTO: UNA CARATTERISTICA STRUTTURALE DEGLI ISTITUTI PENITENZIARI

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Così recita l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Già nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per la violazione dell’articolo menzionato. La sentenza sul caso Torreggiani fa luce sulle condizioni di detenzione subite da sette detenuti nelle carceri di Busto Arstizio e di Piacenza, esprimendosi così sul carattere ormai cronico e strutturale del sovraffollamento come caratterizzante la realtà di buona parte delle carceri italiane. Un problema, quello del sovraffollamento carcerario, al quale secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, deve essere combattuto ricorrendo il più possibile “alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione”. Nel periodo di marzo/aprile del 2022 il Cpt, l'organo anti tortura del Consiglio d'Europa ha esaminato le condizioni detentive in quattro istituti penitenziari. Nel rapporto la Delegazione segnala un nuovo incremento della popolazione carceraria in seguito alla pandemia e afferma come la problematica del sovraffollamento debba essere affrontata per mezzo di “una strategia coerente più ampia, che copra sia l'ammissione in carcere che il rilascio, per assicurare che la detenzione sia veramente la misura di ultima istanza”. E’ altresì necessario lavorare per garantire forniture adeguate e ambienti salubri all’interno delle carceri: fra le problematiche evidenziate vi sono finestre che non garantiscono il giusto riparo, radiatori non funzionanti, muffa nelle docce, assenza/scarsità di acqua calda. Secondo quanto reso noto dal rapporto dell’associazione Antigone infatti, quasi un terzo (31%) degli 85 istituti penitenziari visitati presenta gravi criticità in termini di spazio, con celle di non più di 3mq calpestabili per persona, altre prive di doccia o di adeguati ricambi d’aria. Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione, rende noto come, a fronte di 51.000 posti regolamentari, i detenuti siano quasi 57.000. Il sovraffollamento carcerario quindi rimane una caratteristica strutturale delle carceri italiane rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. Per quanto riguarda, in particolare, il nostro territorio, secondo quanto reso noto dalla “Relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna Anni 2018-2020”, la regione, “a fronte di meno di 3.000 posti regolamentari disponibili, registra circa 3.140 detenuti presenti, con un conseguente indice di sovraffollamento pari a 104,9, dunque appena inferiore a quello medio nazionale”. La Fp Ggil denuncia una situazione allarmante alla Dozza di Bologna dove il sovraffollamento, anche femminile, sta portando al collasso i servizi, compresi quelli infermieristici. Il reparto che registra maggiori criticità è infatti proprio quello dell'infermeria, destinato ad accogliere non solo le persone detenute con patologie, ma anche un buon numero di detenuti che sempre più spesso agisce con gravi atti di auto-lesionismo, oltre che i nuovi arrivati. Il 22 gennaio 2023 alla Dozza si contano ben 300 detenuti in più rispetto alla capienza massima prevista di circa 500 detenuti, a ciò si aggiunga il fatto che un’intera sezione detentiva non è utilizzabile in quanto in fase di ristrutturazione. L'affollamento grava su ogni spazio del carcere, compreso il reparto femminile, dove sono attualmente recluse 83 donne, una delle quali con due figli minori. Anche nel carcere minorile del Pratello si è passati da 22 a 40 minori, a questo incremento inoltre non ha fatto seguito un incremento dell'organico, in particolare del personale educativo. Sono notevoli anche le problematiche strutturali degli istituti di detenzione: oltre a spazi estremamente ristretti, si riscontrano forti infiltrazioni e malfunzionamenti agli impianti di riscaldamento, come nel carcere di Parma. Le conseguenze del sovraffollamento carcerario sono molteplici e possono avere gravi ripercussioni sulla salute fisica e mentale dei detenuti. Ad esempio, i detenuti che vivono in celle sovraffollate sono più a rischio di contrarre malattie infettive, come il COVID-19, e di subire violenze e abusi da parte degli altri detenuti. Il sovraffollamento carcerario e le condizioni in cui versano le carceri italiane non possono che incidere negativamente nel percorso di rieducazione e reintegrazione nella società, occorrono quindi interventi urgenti di riqualificazione degli istituti che garantiscano la tutela della dignità e dei diritti del detenuto, oltre che concreti progetti rieducativi finalizzati al reinserimento in società.

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