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RIFERIMENTI NORMATIVI IN MATERIA DI REINSERIMENTO SOCIALE

Art. 27.

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte ((. . .)).

Disposizioni nazionali

La prima disposizione che deve essere menzionata è la Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. L’articolo 1 comma 2 della citata norma dispone che “Il trattamento tende, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati”. In particolare, l’articolo 13 “Individualizzazione del trattamento”, disciplina la necessità di un trattamento penitenziario che sia rispettoso della personalità dell’individuo, teso quindi a rispecchiare i tratti peculiari che definiscono l’unicità della persona, valorizzandone attitudini e competenze utili ai fini del reinserimento sociale. In un’ottica di prevenzione sociale e al fine di garantire un programma di reinserimento efficace, la norma in esame riflette sull’importanza di comprendere e agire sulle cause che hanno condotto al reato e, quindi, sull’osservazione della personalità di condannati e internati, al fine di coglierne eventuali lacune psicofisiche. Istruzione, formazione professionale, lavoro, partecipazione a progetti di pubblica utilità, così come il coinvolgimento in attività sportive e ricreative e il potenziamento della dimensione socializzante sono elementi costitutivi del trattamento, così come disposto dall’articolo 15. La norma in esame non si esprime solo sulla necessità di appoggiare e incoraggiare il coinvolgimento degli internati nel mondo del lavoro ma, all’articolo 17, evoca la partecipazione della stessa comunità esterna all’azione rieducativa, in quanto “La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa”. In tale contesto l’articolo 20-ter statuisce come detenuti e internati possano chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell'ambito di progetti di pubblica utilità, sempre nel rispetto delle rispettive competenze e abilità, “in attività da svolgersi a favore di amministrazioni dello Stato, regioni, province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, aziende sanitarie locali, enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato […]”. Il Decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 124, Riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, al Capo II - Disposizioni in tema di lavoro penitenziario, introduce all’art.2 l’art. 20-ter (Lavoro di pubblica utilità), il quel dispone che «1. I detenuti e gli internati possono chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell'ambito di progetti di pubblica utilità, tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative”. I progetti possono essere svolti presso enti istituzionali locali o nell’ambito del settore del volontariato e la partecipazione agli stessi non deve compromettere il tempo necessario alla sfera professionale, familiare e sanitaria del singolo individuo. La possibilità di svolgere tali attività all’esterno dell’istituto penitenziario rimane tuttavia preclusa alle persone condannate per il reato di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis del codice penale. Anche a livello di comunità internazionale, con la Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, si evoca la necessità di una collaborazione fra servizi sociali, territoriali e della stessa società civile e l’universo carcerario.

L’istituto dei lavori di pubblica utilità (LPU)

I lavori di pubblica utilità sono disciplinati dal Decreto legislativo 28/08/2000, n. 274, ove, all’art. 54, si dispone che come gli stessi debbano essere applicati su diretta richiesta dell’imputato, il quale dovrà attivarsi in autonomia per individuare una struttura disponibile. I lavori consistono nel prestare il proprio tempo alla comunità di residenza del condannato svolgendo attività non retribuite, della durata non inferiore a dieci giorni e non superiore ai sei mesi, presso enti territoriali locali o associazioni di volontariato. Nello svolgimento dei lavori di pubblica utilità deve sempre essere tenuto conto delle esigenze professionali e personali del condannato. I lavori di pubblica utilità sostituiscono la pena detentiva e pecuniaria prevista per l’art. 186 del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285 del 1992), in materia di guida in stato di ebbrezza, come modificato dall’art.33 L. 29/07/2010, n.120, tranne nei casi in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia provocato un incidente stradale oppure quando l’imputato abbia già goduto in precedenza di una sostituzione della pena con i LPU. Lo svolgimento positivo dei LPU da parte della persona condannata porta all’estinzione del reato oltre alla riduzione alla metà del periodo di sospensione della patente e alla revoca della confisca del veicolo sequestrato. Se, invece, il condannato non dovesse ottemperare agli obblighi relativi allo svolgimento dei LPU, allora il giudice ha facoltà di revocarli e di ripristinare la pena originaria. I lavori di pubblica utilità sostituiscono anche la pena detentiva e pecuniaria prevista per l’art. 187 del Codice della Strada, in materia di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, come modificato dall’art.33 L. 29/07/2010, n.120. Le norme le medesime di quelle dell’art. 186, comma 9-bis, ma aggiungono l’obbligo, per la persona tossicodipendente, di partecipare ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo come definito ai sensi degli art. 121 e 122 del D.P.R. 09/10/1990, n. 309.

L’istituto della messa alla prova (MAP)

Introdotta con la legge 28 aprile 2014, n. 67, la messa alla prova è una forma di probation che consiste nella sospensione del procedimento penale durante la fase decisoria di primo grado, si applica su richiesta dell’imputato e può essere concessa per reati di minore allarme sociale, puniti con la reclusione fino a quattro anni. L’imputato viene quindi affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna e dovrà, come nel caso dei lavori di pubblica utilità, prestare attività in modo obbligatoria e gratuita in favore della collettività, per un periodo minimo di dieci giorni e senza superare le 8 ore giornaliere, ricoprendo mansioni in diversi ambiti, fra i quali quello socio-sanitario, della protezione civile, del patrimonio ambientale e culturale, della manutenzione dei servizi pubblici. Oltre agli ambiti di cui sopra, l’imputato ha facoltà di prestare le proprie attività anche nella sfera delle proprie specifiche competenze professionali oppure svolgendo attività riparative, finalizzate cioè a ridurre le conseguenze dannose del reato commesso per mezzo di attività di risarcimento o di mediazione con la vittima. Il programma di messa alla prova può richiedere, ove necessario, l’imposizione di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali. La conclusione positiva del programma di messa alla prova porta all’estinzione del reato, nel caso invece in cui l’imputato non dovesse rispettare i termini del programma, oppure dovesse commettere altro reato durante il corso dello stesso, il giudice revoca il trattamento di messa alla prova e riprende il procedimento penale precedentemente sospeso. La Relazione al Parlamento sull'andamento della messa alla prova riporta un notevole aumento negli ultimi dieci anni dei soggetti in carico agli uffici di esecuzione esterna e una conseguente diminuzione del numero dei detenuti. A livello nazionale infatti si è passati da 34.931 nel 2020 a 48.008 nel 2021, per un incremento del 37%. Dati che permettono quindi di dare una risposta positiva alle problematiche del sovraffollamento carcerario e della funzione rieducativa della pena.

Disposizioni regionali

La regione Emilia Romagna si è da sempre mostrata sensibile sul tema della tutela delle persone sottoposte a misure privative e limitative della libertà personale cercando di agire parallelamente su due fronti: da una parte quello formativo, stanziando fondi in progetti destinati a promuovere e a garantire il diritto al conseguimento di elevati gradi di istruzione, proprio per lavorare in questa direzione è stata dunque disposta la Legge regionale 15/2007 - Intervento regionale a carattere sperimentale, rivolto alle persone detenute presso la Casa Circondariale di Bologna per favorire e promuovere l'accesso all'Università. Altre disposizioni invece si sono poste lo scopo precipuo di incentivare progetti di avviamento o reinserimento nel mondo del lavoro, è questo il caso della Legge regionale 3/2008, Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Emilia-Romagna, ove si dispone un coordinamento fra enti amministrativi territoriali e servizi locali volto a incentivare e promuovere l'avviamento al lavoro di persone sottoposte a misure privative e limitative della libertà personale. L’attenzione della Regione verso il reinserimento in società continua negli anni, nel 2014 il Protocollo operativo integrativo del Protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Emilia-Romagna per l’attuazione di misure volte all’umanizzazione della pena e al reinserimento sociale delle persone detenute. Il Protocollo in oggetti in particolare si esprime, all’Art. 7, in merito al sostegno alle misure alternative alla detenzione, sottolineando l’importanza del pieno coinvolgimento della comunità nel senso ampiamento inteso come insieme di istituzioni locali e della società civile, nel dare concreta possibilità di attuazione alle misure stesse al fine di un reale recupero del soggetto e di giungere ad una effettiva diminuzione del rischio di recidiva. Ancora, la Legge regionale 30 luglio 2015, n. 14 - Disciplina a sostegno dell'inserimento lavorativo e dell'inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità, attraverso l'integrazione tra i servizi pubblici del lavoro, sociali e sanitari, approvata dalla regione Emilia Romagna nel 2015, costituisce un ulteriore passo nella direzione dell’inclusione nei servizi territoriali e dell’inserimento sociale di soggetti in condizioni di fragilità, con il duplice scopo di favorirne l’inserimento nel tessuto lavorativo, sociale e sanitario e quello di scongiurare discriminazione sociale ed esclusione lavorativa. Fra i destinatari rientrano senz’altro persone che si trovano in esecuzione penale, per le quali la Regione ha programmato: progetti incentrati sul reinserimento nel mondo del lavoro, rivolti agli adulti detenuti che godono di misure alternative alla pena detentiva; progetti incentrati sulla formazione e su percorsi di inserimento professionale, rivolti minori e giovani sottoposti a procedimento penale. La Regione ha quindi avviato due piani sperimentali per gli anni 2016/2018, basati sulla collaborazione e il coinvolgimento fra autorità giudiziaria, amministrazioni competenti per l’esecuzione penale, servizi territoriali lavorativi, sociali, formativi, associazioni di volontariato oltre che mondo imprenditoriale. In particolare, gli interventi rivolti agli adulti detenuti che godono di misure alternative alla pena detentiva sono finalizzati in primo luogo a favorire il reinserimento lavorativo, lavorando sull’acquisizione di competenze e di autonomia. I destinatari del progetto sono quindi le persone sottoposte a provvedimenti di limitazione o restrizione della libertà individuale dell'Autorità giudiziaria, tra cui i detenuti negli Istituti dell’Emilia-Romagna e le persone che godono di misure alternative alla pena detentiva in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna della Regione. I progetti sono hanno previsto diverse attività, fra le quali: informazione e consulenze individuali di orientamento al lavoro; corsi di formazione di base e di acquisizione di competenze tecniche e qualifiche professionali di base; tirocini.

IL REINSERIMENTO SOCIALE DEL DETENUTO:
UNO SGUARDO ALLO SCENARIO BOLOGNESE

Secondo i dati riportati dall’Associazione Ristretti relativi all’utenza degli Uffici di esecuzione penale esterna, con riferimento ai soggetti in carico alla data del 15 maggio 2022, dei 73.203 soggetti in totale in carico per misure, 9.179 sono relativi a sanzioni di comunità, di cui dei quali 623 lavori di pubblica utilità (12,5%) per violazioni della legge sugli stupefacenti e 8.556 lavori di pubblica utilità per violazioni del codice della strada; mentre 25.255 rientrano nella Misura di comunità della Messa alla prova (34,5%). La città di Bologna rappresenta uno scenario in linea rispetto a quanto disposto dalla normativa in materia di reinserimento sociale. Sono numerosi infatti i progetti che la città metropolitana ha avviato finalizzati al reinserimento sociale, di seguito se ne propongono alcuni. Non si tratta solo di opportunità lavorative, ma di progetti che creano un collegamento fra l’universo carcerario e il mondo esterno. Una volta fuori dal mondo carcere l’impatto con la realtà esterna è forte: spesso gli ex detenuti portano il peso di uno stigma, il vuoto di una rete sociale, familiare e amicale assente o, comunque, gravemente compromessa, oltre alla difficoltà di trovare una giusta collocazione abitativa. In questa fase delicata l’inserimento lavorativo costituisce un notevole aiuto, specie se già avviato prima dell’uscita dal carcere, andando ad incidere in modo positivo anche sul tasso di recidiva.

Il Progetto Dimittendi

Il progetto, nato nel 2014 da Asp Città di Bologna su mandato comunale, è rivolto ai detenuti prossimi a terminare la propria pena nel carcere Dozza, i cosiddetti “dimittendi”, volto a creare un ponte fra il mondo carcerario e il rientro in società. Figure professionali qualificate, fra le quali assistenti sociali ed educatori, ascoltano le aspettative e i desideri dei dimittendi cercando di assisterli nella creazione di un profilo personalizzato utile per il futuro reinserimento sociale, cercando di agevolare il contatto fra la persona e i servizi territoriali e continuando a seguirli nel percorso nei sei mesi successivi alla scarcerazione.

Progetto FID - Fare impresa in Dozza

Risponde pienamente al principio rieducativo del carcere evocato dalla nostra Carta Costituzionale il progetto FID – Fare Impresa in Dozza, avviato nel 2012 dalla casa circondariale bolognese con lo scopo di offrire una concreta misura alternativa alla reclusione attraverso l’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Si è quindi costituita la “Fid srl”, un’impresa sociale che ha coinvolto quattro delle imprese più importanti sul territorio bolognese nel settore delle macchine automatiche nella produzione di packaging: Marchesini Group, GD spa, Ima e Faac. I detenuti che hanno aderito al progetto hanno acquisito competenze tecniche partecipando ad attività laboratoriali e di formazione che li hanno impegnati in lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici, creando così le competenze specifiche utili per trovare un lavoro. Questa esperienza ha avuto inoltre un risvolto positivo nelle competenze relazionali, abituando al lavoro di gruppo, restituendo al tempo stesso ai soggetti coinvolti la prospettiva di costruire una nuova vita oltre le mura carcerarie. Dall’inizio del progetto sono state coinvolte circa 50 persone, con una diminuzione significativa del tasso di recidiva.

note

1 https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1660947746_relazione-al-parlamento-sullandamento-della-messa-alla-prova-nel-2021.pdf 2 https://www.comune.bologna.it/servizi-informazioni/detenuti/interventi-favore-detenuti-ex-detenuti 3 protocollo integrativo carceri.pdf 4 https://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/inclusione/inclusione-carcere 5 https://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/inclusione/inclusione-carcere/misure-adulti 6 Tabelle e grafici sono stati reperiti alla pagina dell’Associazione “Ristretti” al seguente link http://www.ristretti.it/commenti/2022/giugno/pdf/detenuti_maggio.pdf 7 https://www.aspbologna.it/inclusione-sociale/servizi-erogati/inclusione-sociale/servizio-sbs-cosa-si-intende-per-progetto-dimittendi-e-come-funziona

per saperne di più

Bibliografia​

Beccaria C., "Dei delitti e delle pene", 1764;

Fanci G., La retorica della pena: quando le coincidenze fanno riflettere", in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, Vol. XIII - N.1 - Gennaio-Aprile 2019;

Fassone E., "Fine pena: ora", Sellerio editore, Palermo, 2015;

Sette R., "Detenuti e prigioni. Sofferenze amplificate e dinamiche di rapporti interpersonali", Franco Angeli, Milano, 2017

Sitografia

https://www.antigone.it/

https://www.chiusifuori.it/

https://www.normattiva.it/

https://ristretti.org/

http://www.vittimologia.it/

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