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Intervista al Presidente Gianfranco Marcelli

Gianfranco Marcelli detto Ribelli


“Voglio morì con gli occhi aperti”, dice Gianfranco Marcelli meglio noto nelle carceri italiane come “Ribelli”, il presidente dell’associazione bolognese Chiusi fuori.

In questa frase c’è la sua storia, quella di uno che vuole essere sempre consapevole dei propri diritti e di quelli degli altri, perché può aver sbagliato, sì, può aver rapinato giusto “un paio” di banche, ma lui i diritti ce li ha e gli altri (ex) carcerati pure. Quindi, uscito dalla Dozza di Bologna, Marcelli ha fondato un’associazione che prova ad aiutare quelli come lui, quelli che appena varcano l’uscita del carcere si ritrovano “Chiusi fuori”.

Un’idea che coltivava da quando era ancora dentro. “Eravamo all’aria io e Stefano Stefani (il tesoriere di Chiusi Fuori, ndr) e ci siamo detti: “Qua ce so’ un sacco d’ignoranti che non conoscono le legge e non sanno manco come difendersi, bisogna far qualcosa. Anche per quando escono perché questi se ritrovano peggio che al gabbio”.

Romano de Roma, fisico segalino e capello canuto, sguardo azzurro ghiaccio, Gianfranco Marcelli mischia l’atteggiamento e l’accento sornione di Romeo er mejio der Colosseo con il fascino di Alain Delon nei suoi film banditeschi.

Spiega con vigore come è nata l’idea di Chiusi Fuori. “Il carcere ti fa da mamma e da papà. In galera hai tutto: vitto, alloggio e qualunque problema te lo risolve la guardia. Ti fa male un dente? La guardia chiama il dentista, vuoi fumare? Pure le sigarette ti porta. Poi esci e magari nessuno ti ha aspettato, perché la gente nel frattempo s’è rifatta una vita. Non sai dove andare a dormire, non hai soldi, quelli che avevi ora ce li ha l'avvocato, gli amici te pagano massimo una cena se l’incontri per caso, così rimani “chiuso fuori””.

Marcelli non ha avuto questi problemi: “Quando sono uscito avevo un lavoro e una casa, la donna l’avevo lasciata prima di entrare, il mio fine pena era previsto per il 2026 quindi le ho detto: “Non starmi ad aspettare, non voglio avere pensieri quando sto dentro”.

Lui ha vissuto il carcere come un’occasione di miglioramento, un po’ come quelle frasi motivazionali che girano sul web, tipo: “Mi hanno gettato tra i lupi e sono uscito capobranco” o “Un giorno il diavolo mi sussurrò all’orecchio: “Tu non sei abbastanza forte da affrontare la tempesta…”.

“Fregnacce! Ho colto solo l’occasione e mi sono messo a leggere, perché fuori non lo facevo e avrò divorato almeno 400 libri. Non potevo uscire più ignorante di come ero entrato, no? Poi facevo palestra e ho appreso un mestiere, facevo anche teatro (mettemmo in scena con Paolo Billi “Le notti bianche” di Dostoevskij, certi ceffoni mi dava la coprotagonista), ho fatto tutto questo altrimenti uscivo morto”.

Grazie al carcere Gianfranco ha anche imparato la geografia: Roma, Melfi, Ariano Irpino, Grosseto, Camerino, Ravenna e Bologna, sono le case circondariali dove ha soggiornato. “La Dozza è un hotel a cinque stelle rispetto ad alcune galere del sud. Ricordo quando andai ad Ariano Irpino, non c’era nemmeno la lucetta in cella per leggere, mi arrabbiai e chiamai la guardia”. Già, perché Gianfranco è un vero rompiscatole e viene preceduto dalla sua nomea, “il Ribelli” appunto, il galeotto che conosce a memoria i codici e i suoi diritti e guai a fargliene mancare uno. “Ricordo un posto dove il direttore aprì per me la cucina alle cinque del pomeriggio e mi fece preparare uno spuntino, visto che stavo in piedi, anzi in furgone, dalle 4 di mattina per il trasferimento. Così si fa, siamo carcerati, mica bestie”.

La svolta avvenne ad Ariano Irpino. “Avevo scritto un’istanza di scarcerazione per un detenuto, m’ero studiato il codice di esecuzione penale e avevo capito che a quello avevano fatto uno sgarbo, insomma un errore, ho scritto l’istanza ed è uscito. Da allora c’era un via vai pazzesco nella mia cella, tutti che volevano che scrivessi istanze”.

Poi a Bologna, al suo avvocato locale, dice: “Quando esco facciamo un’associazione per quelli dentro che stanno per venir fuori, promesso?”.

Dalla promessa ai fatti un po’ di tempo. “Beh, prima c’è stato un periodo di assestamento, quattro o cinque mesi. Non so spiegare… mi mancavano le donne, dopo mi sono messo sotto con l’associazione”.

Perché poi uno non si accorge subito di essere fuori, di essere libero, il carcere te lo porti dentro per un bel po’. “Me ne sono accorto davvero quando ero in Sala Borsa a leggere. Stavo lì in biblioteca e

scoppia un acquazzone meraviglioso, alla Dozza quando pioveva ci rinchiudeva, sia mai che ci ammalassimo. Allora, sono uscito sotto l’acqua e ho aperto le braccia al cielo, urlando: 'Sono libero!' Mi avranno preso per pazzo”.

Importate per “Ribelli” è stata una conferenza alla Casa del Fanciullo sulla giustizia riparativa. “Ho esordito dicendo: “Mi chiamo Gianfranco Marcelli e sono stato riparato, bene e o male non lo so”. E si sono messi a ridere, così ho potuto spiegare le difficoltà che si incontrano fuori dal carcere. Poi ci siamo uniti io e altri quattro ex detenuti, abbiamo cacciato fuori 250 euro a testa e fondato l’associazione e… siamo ancora qua”.

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